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Serpentine Pavilion

Da Zaha Hadid a Marina Tabassum, la storia di un progetto unico

Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Toyo Ito, Oscar Niemeyer, Álvaro Siza e Eduardo Souto de Moura, Rem Koolhaas, Olafur Eliasson e Kjetil Thorsen, Frank Gehry, Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, Jean Nouvel, Peter Zumthor, Herzog & de Meuron e Ai Weiwei, Sou Fujimoto, Smiljan Radič, Selgascano, BIG, Diébédo Francis Kéré, Frida Escobedo, Junya Ishigami, Sumayya Vally, Theaster Gates, Lina Ghotmeh, Minsuk Cho: è davvero impressionante la lista di nomi di primissimo piano dell’architettura mondiale che, dal 2000 a oggi, hanno lavorato con la Serpentine Gallery di Londra per realizzare la sua estensione estiva, il Serpentine Pavilion. Ogni anno, con la sola eccezione del 2020 pandemico, un padiglione diverso si è affiancato alla sede storica della prestigiosa galleria londinese, attiva dal 1970 – per intenderci, quella che oggi viene identificata come Serpentine South, per distinguerla dalla Serpentine North, aperta nel 2013. Questa esperienza unica al mondo per durata, per qualità e varietà degli architetti coinvolti, oltre che per il carattere innovativo dei progetti, prosegue anche nel 2025 con l’elegantissimo padiglione disegnato dall’architetta bengalese Marina Tabassum.

Cominciò tutto con una cena di gala, per il trentesimo anniversario della Serpentine Gallery. Per ospitare l’evento, Hadid, l’architetta di origine irachena che era già un’archistar ma non aveva mai costruito nel Regno Unito, realizzò una sorta di canopée dalle geometrie complesse, con struttura in metallo e copertura in plastica. Era una riproposizione in scala ridotta della ricerca tecnica e formale che Hadid, maestra indiscussa del decostruttivismo parametrico, stava conducendo su progetti di dimensioni ben maggiori – ad esempio il celebre terminal dei bus con parcheggio di Hoenheim, in Francia, allora in cantiere. Il suo padiglione, al tempo stesso gazebo e architettura vera e propria, fu smontato dopo pochi mesi, come previsto fin dall’assegnazione dell’incarico. Le reazioni positive del pubblico e della critica, però, convinsero la Serpentine Gallery a ripetere l’iniziativa su base annuale, confermando gli ingredienti che avevano garantito il successo della prima edizione: la realizzazione di una struttura temporanea, pensata fin da subito per scomparire alla fine dell’estate e per essere eventualmente rimontata altrove; il coinvolgimento di un(a) progettista all’avanguardia e di fama globale, ma alla sua prima esperienza in Inghilterra; la richiesta, implicita ma non troppo, di applicare al piccolo padiglione lo stesso livello di sperimentalità e audacia delle loro architetture più importanti.

Così, già l’anno successivo Libeskind, collega decostruttivista di Hadid, rivestì le geometrie irregolari e frammentate del suo padiglione, intitolato “Eighteen Turns”, di luccicanti fogli di metallo, simili a quelli del Guggenheim Museum di Bilbao (1991-1998), l’architettura-icona che pochi anni prima lo aveva reso famoso in tutto il mondo. Nel 2003 Oscar Niemeyer, il più celebre architetto brasiliano del XX secolo, già autore negli anni ’50-‘60 dei memorabili edifici governativi della neo-capitale Brasilia, proiettò nel verde di Kensington Garden un frammento del suo candido modernismo carioca. Rem Koolhaas, che con Cecil Balmond progettò il Serpentine Pavilion 2006, ne fece un manifesto della sua idea di architettura come programma. Nelle sue intenzioni, l’attrazione non era tanto il pur spettacolare pallone aerostatico luminoso, che si alzava o si abbassava al di sopra dei visitatori a seconda delle condizioni metereologiche, ma piuttosto la fitta serie di eventi a cui essi partecipavano, compresa la storica maratona di 24 ore d’interviste curata dal critico d’arte Hans Ulrich Obrist.

Negli anni successivi la Serpentine Gallery intercetta astri nascenti – Sejima e Nishizawa (2009), che disegnano una fragile nuvola riflettente, esempio ottimo della tendenza più leggera e diafana dell’architettura giapponese contemporanea – e vecchie glorie – il bravissimo francese Nouvel (2010), che cita apertamente le rosse folies fine anni ’80 del Parc de la Villette di Bernard Tschumi. I committenti guardano a est – assicurandosi i padiglioni dei giovani giapponesi Fujimoto (2013) e Ishigami (2019) – e a sud – nel 2017, Kéré è il primo architetto africano coinvolto nel programma. Si riequilibria progressivamente anche il gender gap, con la chiamata di alcune delle più importanti architette contemporanee: la messicana Escobedo (2018), la sudafricana Vally (2021) e la libanese Ghotmeh (2023). Proprio quest’ultima realizza uno dei padiglioni più sostenibili, tutto in legno e materiali naturali a basse emissioni, configurato come una grande tavola rotonda attorno alla quale sedersi e dialogare – lo intitola “À table!”, il francese per l’espressione colloquiale “A tavola!”.

“Capsule in Time”, il Serpentine Pavilion 2025 di Tabassum, sembra porsi in una continuità ideale con quello di Ghotmeh. Più in generale, prosegue la genealogia dei padiglioni più attenti al tempo stesso alla sostenibilità ambientale e al rapporto con il paesaggio, che qui è quello addomesticato dei Kensington Gardens. Tabassum disegna una sequenza di archi a tutto sesto in legno, che definiscono uno spazio continuo e allungato, delimitato alle sue estremità da due absidi arrotondati. La struttura è translucida, grazie ai tamponamenti semi-trasparenti in policarbonato, ma anche a tutti gli effetti aperta, perché suddivisa in quattro moduli indipendenti. Si lascia attraversare, fisicamente e visivamente, e permette al parco di penetrare al suo interno. Un giovane albero ne segnala il centro geometrico, allineandosi anche alla piccola torre dell’orologio della Serpentine South. Si costruisce così un dialogo delicato e allusivo tra architettura contemporanea, natura e storia. Come tanti altri Serpentine Pavilion, anche quello di Tabassum “registra” le tendenze del mondo del progetto contemporaneo e le materializza in vitro. Innovare, oggi, non significa necessariamente proporre soluzioni spettacolari e ad alta tecnologia – che pure, talvolta, servono –, quanto piuttosto immaginare un’architettura che sappia misurarsi con le esigenze multidimensionali del mondo contemporaneo e con le qualità esistenti del contesto-ambiente in cui s’inserisce.

 

Categoria: Architettura e design
Titolo: Serpentine Pavilion: 25 anni di architetture
Autore: Alessandro Benetti, architetto