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Mostra del Cinema di Venezia, da qui passa tutto il mondo

Da La grazia di Sorrentino al Frankenstein di Del Toro, da Bigelow a Baumbach, da Jarmusch a Guadagnino: Barbera orchestra un’edizione monumentale.

C’è un metodo facile e veloce per misurare la qualità di una mostra, di un festival, di un evento cinematografico in generale. Il modo è questo: si prende la lista dei film che alla mostra, al festival all’evento cinematografico in generale partecipano in concorso e la si confronta con quella dei film che invece partecipano fuori concorso. Poi si inizia a misurare: minore è la “distanza” tra una lista e l’altra, maggiore è la qualità della mostra, del festival, dell’evento cinematografico in generale. Il direttore artistico Alberto Barbera deve conoscere questo metodo. Anzi: visti i film in concorso e fuori concorso all’82esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, viene il sospetto che Alberto Barbera sia l’inventore di questo metodo. Se non è l’inventore, certamente ne è diventato il maestro, perché quest’anno la distanza tra queste due sezioni della Mostra è veramente piccolissima, tanto che si parla già di film candidati in concorso e di film candidati “quasi” in concorso. Se vi dicessero che a Venezia quest’anno ci saranno tra gli altri Luca Guadagnino (After the Hunt), Gus Van Sant (Dead Man’s Wire), Julian Schnabel (In the Hand of Dante), Mamoru Hosoda (Hateshinaki Scarlet), Antonio Capuano (L’isola di Andrea), dareste per scontato che questi autori, questi film saranno tutti in concorso, tutti possibili Leoni d’oro. E invece quella appena scorsa è solo una lista, incompleta, dei film che quest’anno a Venezia saranno fuori concorso. Lista a cui bisogna anche aggiungere lOrfeo di Virgilio Villoresi, La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli, L’ultimo vichingo di Anders Thomas Jensen, Il Maestro di Andrea Di Stefano, Sermon to the Void di Hilal Baydarov e Chien 51 di Cédric Jimenez. È ovvio chiedersi: ma se questi sono i registi e i film che dal concorso stanno fuori, in concorso chi c’è, cosa c’è? La risposta breve è: quest’anno in concorso a Venezia ci sono praticamente tutti i film più attesi e chiacchierati in uscita tra l’autunno e l’inverno del 2025. La risposta lunga non c’è, ma in alternativa c’è un’altra risposta breve: quest’anno a Venezia c’è tutto il mondo. Chissà la quantità di telefonate, mail, call, inviti, trattative che Barbera ha dovuto fare per riuscire ad allineare così perfettamente tutti questi pianeti. C’erano già delle quasi certezze, prima dell’annuncio ufficiale dello scorso 22 luglio. Si sapeva già che La grazia di Paolo Sorrentino sarebbe stato il film d’apertura. Erano dati per scontati sia Yorgos Lanthimos con Bugonia che Park Chan-wook con No Other Choice. E già da queste tre certezze-quasi certezze probabilmente avremmo dovuto capire l’ottima annata che si prospettava. Ma un conto è un’ottima annata, evento di cui tutto sommato nessuno si stupisce granché: per un cinefilo, alla fine, ogni Mostra del cinema è un’ottima annata. Tutt’altro conto è un’annata eccezionale come quella che abbiamo scoperto avremmo vissuto sul Lido tra il 27 agosto e il 9 settembre.

Il concorso di questa edizione della Mostra lo si potrebbe sottotitolare “i grandi ritorni”, “i ritorni dei grandi”, una variazione su questo tema. Oliver Assayas arriva in Italia assieme al suo Mago del Cremlino, un arrivo che in fondo è un ritorno, considerando che il film è tratto dal romanzo – fortunato in Italia, fortunatissimo in Francia – omonimo di Giuliano da Empoli. A proposito di grandi ritorni o di ritorni dei grandi, ci si immagina la soddisfazione di Barbera quando ha ottenuto il sì di Jim Jarmusch, che non faceva un film dal 2019 (I morti non muoiono) e che a Venezia arriva con Father Mother Sister Brother, ma soprattutto con un cast composto da Cate Blanchett, Tom Waits – poteva mancare proprio lui? – Adam Driver e Charlotte Rampling. Nella gara dei cast più da far invidia entra anche Noah Baumbach, che per il suo Jay Kelly ha chiamato a raccolta George Clooney, Adam Sandler e Laura Dern. Kathryn Bigelow, anche lei non scherza: in House of Dynamite ci sono Idris Elba e Rebecca Ferguson, ma ovviamente del film si sta parlando soprattutto perché è appunto di Kathryn Bigelow: dall’ultima volta (Detroit) sono passati otto anni, dal favoloso Zero Dark Thirty addirittura 13, dall’Oscar per The Hurt Locker quasi 20. Continuiamo con i cast, continuiamo a immaginare i film a partire dagli attori che hanno portato sul red carpet: Oscar Isaac, Jacob Elordi e Mia Goth, notevolissimo trio che Guillermo Del Toro ha scelto per la sua reinterpretazione di un classico, del Frankenstein di Mary Shelley (se conoscere i precedenti significa intravedere il futuro, qui si può già tracciare una mappa che porta al Dolby Theatre di Los Angeles). Assieme allo Straniero di Francois Ozon, oltre ad Albert Camus che questa storia se l’è inventata, sul tappeto rosso veneziano arriveranno anche Benjamin Voisin, Rebecca Marder, Pierre Lottin, Swann Arlaud e Denis Lavant. Notevolissimo è poi per definizione Dwayne Johnson, nome d’arte in un’altra vita The Rock, attore che in tanti ancora faticano a prendere sul serio – non i produttori, conscissimi del suo effetto miracoloso sul botteghino di qualsiasi film – e che in tanti forse accetteranno finalmente come attore “serio” dopo averlo visto in The Smashing Machine, esordio solista per il regista Benny Safdie, assieme al fratello Josh uno dei santi patroni del cinema indie americano dopo quella inspiegabile apparizione che fu Uncut Gems. E poi, ancora, perché una differenza almeno quantitativa tra il concorso e il fuori concorso va pure mantenuta, le tradizioni sono tradizioni, in concorso ci sono anche: The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania; Ri Gua Zhong Tian di Cai Shangjui; Nühai di Shu Qi; À pied d’œuvre di Valérie Donzelli. E poi, una gustosa seleziona italiana: Elisa di Leonardo Di Costanzo, con Valeria Golino; Duse di Pietro Marcello, con Valeria Bruni Tedeschi; Un film fatto per bene di Franco Maresco e Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi.

Non sono film, ma è come se lo fossero e come dei film sono attesi anche due serie tv, di italiani su storie italiane, una sorta di sezione true crime di cui la Mostra si è saggiamente dotata: Portobello di Marco Bellocchio, ovvero le prigioni di Enzo Tortora, e Il Mostro di Stefano Sollima, nuova iterazione del caso di cronaca nera per eccellenza, quello del Mostro di Firenze.

Se l’impressione è che quest’anno a Venezia ci sia, quasi tutto, è perché in effetti è così: thriller ispirati ai classici americani degli anni ’80 e ’90, trasposizioni di capolavori della letteratura, anime, satire sulle paranoie complottiste, biopic, film politici, film “impegnati”, drammi familiari, più davvero tutto quello che la narrativa contemporanea contempla. C’è una ragione precisa dietro questo sforzo quasi ecclesiastico, nel senso letterale della parola, nel senso che prevede che Venezia, per quei giorni, diventi la Città Santa di tutti i fedeli di quella religione pagana che è il cinema. Negli ultimi anni la “rivalità” tra il Festival di Cannes e la Mostra del cinema di Venezia è diventato uno degli argomenti di discussione (e litigio) preferiti dei cinefili. Dopo la strepitosa edizione 2024, a detta di molti il sorpasso di Cannes si è compiuto, alla guida c’erano Anora e Sean Baker, scoperti sulla Croisette, portati in trionfo a Los Angeles nella notte degli Academy Awards. Ed è proprio così che Cannes ha iniziato a rappresentarsi, a comunicarsi, a percepirsi: da qui passano i film che poi vedrete agli Oscar. Ecco, dopo aver scoperto cosa ci ha riservato il Lido quest’anno, possiamo dire che la sfida continua, che Alberto Barbera e la Mostra del Cinema di Venezia hanno rilanciato: il messaggio è stato, forte e chiaro, “Da qui passa tutto il mondo”.

Categoria: Cinema
Titolo: Mostra del Cinema di Venezia, da qui passa tutto il mondo
Autore: Francesco Gerardi, giornalista