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Da Roma a Londra: la ristorazione riscrive i suoi orari

Moltiplicazione dei turisti, moltiplicazione delle donne che lavorano, trasformazione sociale dei costumi, liberalizzazione delle licenze per cui bar, supermercati, macellerie, fruttivendoli, pescherie, possono offrire pasti cucinati, gentrificazione delle periferie, valorizzazione dei borghi: ecco un elenco sommario delle trasformazioni sociali che, nell’arco di cinquant’anni, hanno modificato il paesaggio urbanizzato. Oggi, camminando per le strade di città, paesi, frazioni assistiamo a una proliferazione di ristoranti, trattorie, osterie, e via con tutta la declinazione di possibilità alimentari che si dispiegano sotto i nostri occhi. Aggiungiamo poi la gran cassa televisiva e dell’informazione, i social e le app come TripAdvisor che, sul cibo, sulla sua consumazione, sui suoi chef e ristoranti più acclamati, sulla possibilità del cittadino comune di ergersi a critico e segnalatore di inganni gastronomici hanno solleticato il desiderio collettivo. I locali dove abbiamo mangiato sono diventati status, come un tempo le etichette adesive delle località visitate incollate alla valigia, o gli alpenstock con avvitati i medaglioni delle cime su cui ci si è inerpicati. Questo boom della ristorazione è anche una grande opportunità occupazionale. Non più la fabbrica con le sirene che suonano all’alba, ma cameriere o cuoco o membro di brigata, non più catena di montaggio, periferie, zone industriali, ma un lavoro che permette l’interazione con il cliente, e una tale quantità di locali e di richieste da poter spesso scegliere di lavorare vicino a casa, oppure di fare tanta strada, e addirittura cambiare Paese, ma per intraprendere esperienze in locali qualificanti, noti e celebrati.

L’altra faccia della medaglia è, come sappiamo, la sostenibilità fisica e psicologica di lavori che vedono impegnato il personale tutto il giorno fino alla sera tardi, magari con turni di dodici ore, i sabati, le domeniche e durante le feste. Nella crescita della consapevolezza collettiva abbiamo cominciato a occuparci di sostenibilità ambientale, ma poi anche di quella umana. Persone che non riescono a interagire con la propria famiglia, che tornano a casa quando tutti sono a dormire, che mentre i figli sono liberi nel fine settimana non possono stare con loro. Tutto questo ha cominciato a essere percepito come poco sostenibile e nella ristorazione ha generato un intenso fenomeno di turn over del personale. Ecco che un po’ alla volta, proprio per dare a sé stessi e ai propri dipendenti una qualità di vita privata che permetta di lavorare con maggiore serenità, alcuni locali di tendenza stanno modulando la propria offerta su orari e giornate di lavoro meno totalizzanti. In Italia, uno dei primi è stato Marzapane. Ristorante romano di fine dining, molto apprezzato, nel 2024 ha cambiato radicalmente proposta. Mario Sansone, il proprietario, ha deciso di restare aperto solo fino alle 4 del pomeriggio. Così, dopo undici anni di ristorazione, la graziosa casetta su due piani con terrazza, in via Flaminia a due passi da Piazza del Popolo, è diventata Marzapane Café & Bakery. Ora apre al mattino presto e offre colazioni e piatti per il pranzo. La vedete da lontano anche perché da quando è cambiata la formula c’è sempre la coda di chi aspetta che si liberi un tavolo. Dice Sansone: “La riduzione oraria fatta in realtà di orari anticipati è una scelta intrapresa nel rispetto del personale. E questo accettando che vi sia un sacrificio economico: meno cena, meno servizio serale. Ho voluto dare una svolta al rapporto vita-lavoro del team”.

Nel frattempo, la Locanda Locatelli - uno dei ristoranti stellati più à la page di Londra, da cui sono passati aristocratici, popstar, attori e registi di fama mondiale, e il cui proprietario, Giorgio Locatelli è poi diventato anche un personaggio televisivo per la sua partecipazione a MasterChef, nel gennaio 2025 ha chiuso. Nelle interviste rilasciate da Locatelli emerge che il ritmo di lavoro della Locanda, che si trovava nell’Hyatt Regency London – The Churchill, era diventato troppo intenso: difficile gestire uno staff numeroso, sette giorni su sette. A un intervistatore, Locatelli ha detto che, dopo la chiusura, per la prima volta in 23 anni lui e sua moglie hanno avuto un weekend libero. Così, dopo aver vinto un concorso pubblico, Locatelli ha aperto un bar e un nuovo ristorante, sempre di cucina italiana, nell’ala Sainsbury della National Gallery. Gli orari e i giorni di apertura sono gli stessi del museo.

A Verona, il tristellato Casa Perbellini 12 Apostoli ha scelto invece di chiudere domenica e lunedì, e immaginate in una città turistica come Verona cosa significhi, in termini di fatturato, decidere di non essere aperti la domenica. C’è poi il caso di cui tutti i giornali, non solo milanesi, hanno parlato. Uno dei locali di maggior successo della città, la trattoria Trippa, dove già non si trovava mai posto a meno di non prenotare con settimane di anticipo. Il proprietario Pietro Caroli e lo chef Diego Rossi hanno scelto di tenere chiuso di sabato e domenica. Ora, per trovare posto, bisogna prenotare con mesi di anticipo. Pietro Caroli, socio fondatore del ristorante insieme allo chef Diego Rossi, ha dichiarato: “Vogliamo valorizzare i nostri dipendenti e favorire la qualità della vita di tutti, scongiurando così il rischio del turnover di collaboratori, uno dei problemi tipici del nostro settore”. Dobbiamo considerare che in un ristorante, come in qualsiasi azienda, si investono tempo e risorse nella formazione di personale qualificato e perderlo rappresenta un danno concreto, anche di immagine. Rinunciare ai fine settimana, che tradizionalmente costituiscono i momenti di maggiore affluenza e guadagno, è una piccola, dilagante rivoluzione, un trend crescente. Si punta a raggiungere un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata per ottenere una fidelizzazione del personale, un’immagine del brand positiva, e una migliore qualità del servizio. Di contro, la riduzione del fatturato potenziale, per seguire una scelta di welfare interno si rende possibile quando parliamo di locali consolidati, che hanno raggiunto un’ottima reputazione e non contano summode passeggere. “Incassiamo di meno ma siamo più felici” sembra insomma la formula vincente di un nuovo modo di concepire il lavoro della migliore ristorazione.

Categoria: Fine Dining
Titolo: Da Roma a Londra: la ristorazione riscrive i suoi orari
Autore: Camilla Baresani, scrittrice