Il peso del digitale
Il software domina ancora il mondo, ma a costruirlo oggi sono acciaio, cemento e silicio. L’AI segna il ritorno alla materia.
Quarant’anni fa, nel 1985, Italo Calvino scriveva le Lezioni americane – sei conferenze pensate per Harvard, mai pronunciate a causa della sua morte improvvisa, pochi mesi prima della partenza per gli Stati Uniti. In una di quelle pagine che oggi rileggeremmo come un documento di futurologia letteraria, Calvino profetizzava che il mondo sarebbe stato dominato dal “software”. Un’intuizione che all’epoca suonava poetica, quasi stravagante, e che invece è diventata la più fredda delle realtà. Il software ha dominato la nostra epoca. Ma ora che pronunciamo quella parola magica – AI – con la stessa leggerezza con cui negli anni Duemila dicevamo app, ci accorgiamo che dietro l’immateriale si nasconde il peso del materiale. Siamo tornati alla fisica dopo decenni di metafisica digitale.
Oggi, mentre tutti discutono di ChatGPT, Gemini o Claude, uno degli uomini più ricchi del mondo non è un pioniere dell’intelligenza artificiale, ma Larry Ellison, fondatore di Oracle, il signore dei database e delle infrastrutture, a capo di un colosso del software aziendale che sostiene i sistemi informatici di mezzo pianeta, dalle banche alle pubbliche amministrazioni. Uno che da giovane frequentava Bill Gates, ma non per scrivere codice: per costruire il cemento digitale su cui quel codice avrebbe girato. E infatti, con i suoi data center e i 3 trilioni di dollari di investimenti previsti nel mondo, Ellison si ritrova di nuovo in cima alla piramide, come un architetto romano che osserva i barbari dell’AI correre sulle strade che lui ha lastricato.
Calvino, se fosse vissuto abbastanza per vedere i server di Google nel deserto del Nevada, avrebbe forse aggiunto una settima lezione: la “pesantezza”. Perché è questo che oggi sta tornando. La leggerezza del software, che sembrava poter fluttuare in un cloud immateriale, si appoggia su milioni di tonnellate di acciaio, cemento, silicio e litio. Ogni algoritmo che chiediamo a una macchina di eseguire comporta l’accensione di turbine, il raffreddamento di server, il pompaggio di acqua. È l’infrastruttura, bellezza.
E così, mentre gli occhi sono puntati sull’intelligenza artificiale, i veri vincitori stanno scavando fondamenta. È una legge antica della tecnologia: quando tutti guardano alla superficie, il potere si sposta nel sottosuolo. Valeva per le reti ferroviarie nell’Ottocento, per i cavi telefonici nel Novecento e vale oggi per i data center. L’AI è il nuovo software, ma il software – per vivere – ha bisogno di un nuovo tipo di hardware planetario.
C’è qualcosa di ironico in questo ritorno alla materia. Per anni abbiamo ripetuto lo slogan software is eating the world, il software divora il mondo. Ma ora il mondo, con i suoi limiti fisici ed energetici, si sta riprendendo la rivincita. L’AI non è solo una sfida di algoritmi, ma di infrastrutture, di energia, di sostenibilità. È un nuovo rinascimento industriale in cui il cloud si costruisce con le ruspe.
Non è finita l’era del software. È finita l’illusione della sua leggerezza. Calvino, che della leggerezza fece una virtù poetica, ci aveva avvertito: la vera sfida è dare al pensiero la consistenza di una nuvola senza dimenticare il peso della realtà. E oggi, mentre i miliardi si spostano dai laboratori di AI ai cantieri dei data center, sembra di rivedere quella lezione incarnata in silicio e calcestruzzo. Il mondo, ancora una volta, non è dominato da chi scrive il codice, ma da chi decide dove quel codice abiterà.
Categoria: Tecnologia
Titolo: Il peso del digitale
Autore: Massimo Sideri, giornalista
