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Olimpiadi 2026: la Milano che resta

Con l’arrivo dei Giochi, la città mostra il suo volto più profondo: meno icone e più infrastrutture.

A fine settembre, il Villaggio Olimpico di Milano è stato ufficialmente inaugurato e consegnato alla Fondazione Milano Cortina e al Comitato olimpico internazionale. È una tappa dal chiaro valore simbolico, che proietta la città verso il grande evento ormai imminente. Mentre si smontano le cesate di questo e di tanti altri cantieri, è giunto il momento di fare il punto su com’è cambiata Milano in questi ultimi anni: quali novità accoglieranno i visitatori dei Giochi Olimpici Invernali 2026?

Un paio di considerazioni di carattere generale, su dinamiche di lungo periodo e di scala globale, sono necessarie prima di entrare nel vivo della risposta, anche per evitare il fastidioso effetto “lista della spesa” di un semplice elenco. Una riflessione storica, per cominciare: è finita l’epoca in cui Olimpiadi, Esposizioni Universali e altre riunioni planetarie producevano icone per le città che le ospitavano. Ce lo insegna Parigi, ad esempio: la capitale francese possiede la expo-architecture per eccellenza, la Tour Eiffel del 1889, ma per i Giochi Olimpici Estivi 2024 ha scelto di sponsorizzare un intervento completamente diverso, “senza forma”, come la depurazione e l’apertura alla balneazione della Senna. Le manifestazioni internazionali e gli investimenti che le accompagnano, oggi, sono soprattutto l’occasione per mappare e attualizzare i potenziali inespressi delle città ospitanti: in termini più semplici, per intervenire su quello che esiste già.

Una seconda riflessione ha a che vedere con il “riverbero” che la manifestazione produce al di là di sé stessa. Esistono infrastrutture e architetture realizzate specificamente per supportarne e ospitarne le attività, ma esiste anche un ecosistema di cantieri collaterali, che si nutrono delle sue energie metaforiche e concrete – narrazioni ottimiste, circolazioni di capitali – e che se la prefiggono come obiettivo cronologico per il proprio completamento. Esistono, infine, dinamiche di lungo periodo di trasformazione della città, delle sue architetture, infrastrutture e spazi pubblici, di cui è possibile valutare lo stato di avanzamento in corrispondenza dell’evento stesso.

Entriamo nel vivo, adesso. Milano-Cortina: le Olimpiadi 2026 si distribuiscono su di un territorio interregionale, che attraversa Lombardia, Trentino-Alto Adige e Veneto. Le valli alpine, dalla Valtellina alla Val Pusteria alla Conca d’Ampezzo, fervono di cantieri per le location che ospiteranno le diverse discipline. Inoltre, a Fiames, nei pressi di Cortina d’Ampezzo, è quasi pronto un villaggio olimpico composto da 377 mobile homes, costruite con materiali riciclabili e pensate per poter essere ricollocate in altri contesti. Le due nuove architetture di maggior rilievo realizzate per le Olimpiadi 2026, però, si trovano nella loro “co-capitale” di pianura, Milano: sono la Santagiulia Ice Hockey Arena e il Villaggio Olimpico. Progettata dall’inglese David Chipperfield Architects con Arup, la prima sarà la più grande arena d’Italia, con 16 mila posti al coperto e 10 mila metri quadri di piazza, disponibili per ospitare eventi all’aperto. È un edificio di notevole eleganza – Chipperfield è una garanzia, da questo punto di vista – il cui volume cilindrico è sottolineato dalla sovrapposizione di fasce continue, opache o trasparenti, aggettanti o rientranti. Il Villaggio Olimpico, dello studio statunitense Skidmore Owings & Merrill (SOM), distribuisce 30 mila metri quadri di superficie calpestabile in sei corpi di fabbrica in linea, suddivisi in due edifici. I balconi continui che caratterizzano le loro facciate su strada sono un riferimento esplicito alle case a ballatoio della tradizione milanese. L’obiettivo è che questi spazi di distribuzione diventino, qui come nei loro precedenti storici, anche luoghi di socialità: tra gli atleti olimpici, oggi, e in futuro tra i 1.700 studenti che abiteranno gli edifici. Al di là delle loro specificità, cos’hanno in comune queste due architetture? Molte cose: entrambe sono “firmate” da progettisti di fama internazionale ed entrambe sono collocati all’interno di più ampie aree di trasformazione urbana della periferia sud-orientale. L’Arena è un tassello fondamentale per il rilancio attesissimo del quartiere di Santa Giulia, ex-polo industriale in zona Rogoredo. Qui era rimasto a lungo incompiuto il masterplan ideato da Norman Foster all’inizio degli anni 2000. Dal 2024, un nuovo masterplan di Mario Cucinella Architects, di cui l’Arena fa parte, è in fase di realizzazione: speriamo che sia la volta buona! Ancora più lunga e complessa è la storia urbana dell’ex-scalo ferroviario di Porta Romana, dentro il quale si trova il Villaggio Olimpico. Da decenni si discute della sua definitiva dismissione e dell’apertura del suo immenso recinto alla città. In questo senso, proprio il Villaggio Olimpico, che oltre alle residenze di nuova costruzione comprende anche due antichi capannoni riabilitati e una piazza pubblica in continuità con l’esterno dello scalo, rappresenta il primo spazio “abitato” in quella che è rimasta a lungo una no-man’s land nel cuore di Milano.

Architetture olimpiche e una città che cambia con e attorno ad esse, si diceva poco sopra. Anche da questo punto di vista, sarebbe inattuale concentrarsi sulle nuove icone, in senso stretto. City Wave, l’impressionante “grattacielo sdraiato” – sic! – di Bjarke Ingels (BIG) a City Life è già leggibile in tutta la sua appuntita imponenza, ma non arriverà in tempo per il taglio del nastro dei giochi – l’inaugurazione è prevista a metà 2026. È pronta e luccicante, invece, la Torre Velasca dei BBPR (1955-1958) restaurata da Asti Architetti: un gioiello della modernità milanese che, dopo anni di oblio, torna protagonista nello skyline della città.

È più interessante, però, osservare quello che sta succedendo a livello del suolo e sotto di esso. Da Expo 2015 – ultima occasione di massima visibilità planetaria – Milano ha guadagnato una nuova metropolitana e soprattutto si è profondamente trasformata nei suoi spazi pubblici. Il cambiamento è graduale, ma radicale e inesorabile, e si apprezza al meglio proprio percorrendo in superficie il tracciato della M4. Spostandosi lungo viale Argonne e corso Monforte, attraversando piazza San Babila e proseguendo lungo corso Europa e la circonvallazione interna, fino alla Basilica di Sant’Ambrogio, e poi verso sud-ovest, lungo via Foppa e via Lorenteggio, si scoprono frammenti sempre più estesi di un “piano terra urbano” di qualità. In tutti questi luoghi, si cammina su ampi marciapiedi in pietra, si sosta e si gioca in slarghi ben attrezzati, ci si riposa in aree verdi ombreggiate, si corre in bicicletta su piste apposite e si va piano in auto, su carreggiate finalmente ridotte. Lungo la M4, così come nei tanti spazi pubblici o accessibili al pubblico, realizzati o reinventati negli ultimi anni, Milano si mostra finalmente all’altezza delle sue ambizioni da città europea e globale. È proprio questa, forse, la più grande novità che mostrerà ai visitatori dei Giochi Olimpici Invernali 2026.

Categoria: Architettura e Design
Titolo: Olimpiadi 2026: la Milano che resta
Autore: Alessandro Benettii, architetto