Corpo, umano: la centralità del corpo nell’era digitale
Un viaggio tra neuroscienza, filosofia e immaginario per riscoprire il senso del corpo.
Il nome Eta Beta vi dice qualcosa? Se scuotete la testa significa che non avete avuto la fortuna di leggere i fumetti di Walt Disney degli anni Settanta. Altrimenti vi ricordereste di Luigi Salomone Calibano Sallustio Semiramide, Eta Beta, appunto. L’extraterrestre amico di Topolino e Pippo, che si nutre di naftalina, non proietta l’ombra, estrae gli oggetti più inverosimili dai pantaloncini neri e dorme sul pomo d’ottone della tastiera del letto.
Nel libro Il corpo artificiale (Raffaello Cortina editore) Simone Rossi e Domenico Prattichizzo, docenti a Siena rispettivamente di Neurofisiologia e Robotica, colgono una sorprendente somiglianza tra Eta Beta e l’Homunculus sensoriale descritto da Wilder Penfield e Theodore Rasmussen verso la fine degli anni Quaranta. Il corpo filiforme dell’Et di Disney, con mani e piedi enormi, assomiglia molto alla loro somatotopia, cioè alla rappresentazione della corrispondenza puntuale delle varie parti del corpo con punti specifici sulla nostra corteccia motoria.
Una coincidenza? Chi può dirlo, visto che la Walt Disney, nel giugno 1983, ha pubblicato la storia “Zio Paperone e la rivoluzione elettronica”, dove si racconta che a Paperopoli è scoppiata la mania dei computer e tutta la città è coperta da cavi: in pratica, si può dire che il fenomeno internet sia nato lì. Forse la conclusione è un po’ forzata ma dà l’idea dell’attenzione riservata da Disney a scienza e innovazione.
Senza dubbio l’Homunculus ci dice quanto corpo e cervello, o corpo e mente, siano uniti, connessi. Fatto tutt’altro che scontato, alla luce della cultura cartesiana che per secoli ha separato res cogitans e res extensa. Ma l’intrusione di Eta Beta può esserci utile per un’altra riflessione, o forse suggestione, più attuale. Il corpo dell’extraterrestre, con l’eccezione di mani e piedi, appare smaterializzato, e forse per questo non proietta la sua ombra. Ed è con corpi sempre meno fisici e tattili e sempre più virtuali e remoti che oggi dobbiamo confrontarci. Siamo di fronte a un «salto antropologico» che non possiamo sottovalutare e dal quale, pur senza ritirarci dalla nuova socialità, dobbiamo imparare a difenderci.
Come? Riportando il corpo al centro della scena. Ne è convinto lo psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi, che ci offre in Corpo, umano, pubblicato da Einaudi, un viaggio nel «corpo dettagliato», cioè fra gli organi che ne costituiscono l’architettura vitale. Un’odissea che oscilla tra visita medica, film di fantascienza, percorso guidato tra scienza, arte, poesia e filosofia.
Un saggio molto particolare, a cominciare dal titolo. È raro che in un libro l’autore ne spieghi l’origine, anche perché molte volte è frutto di un compromesso fra le sensibilità non sempre concordanti dello scrittore e dell’editore. Ma questa volta c’è un particolare “pensato” che Lingiardi si sofferma a spiegare: la virgola. «Una virgola che, con la sua piccola enfasi, impone una pausa, ciascuno ha la sua. Una pausa necessaria ora che il corpo è ovunque e da nessuna parte: la medicina specialistica lo scompone in oggetti parziali (nessun medico prende più in cura un malato, ora si prendono in cura le malattie, e ben circoscritte); la vita sui social lo allontana dalle relazioni toccanti».
Proprio nella piccola pausa è possibile rintracciare un precedente che può qui sembrare quasi paradossale: Io, robot, di Isaac Asimov. Lì i protagonisti non sono umani, anche se ci assomigliano molto, e il confine fra uomo e macchina è tracciato nell’inquietudine, tanto da rendere necessarie le famose tre leggi della robotica.
Anche il corpo umano è stato in un certo senso “costruito“, come quello dei robot, nel corso della storia. Il percorso «dalle membra disperse all’organismo», descritto dalla docente di filosofia Cristina Zaltieri nel libro L’invenzione del corpo (Negretto editore), comincia dal corpo politico di Platone e dalla favola di Menenio Agrippa, e sembra concludersi ora con la scomparsa del corpo. «Il corpo è la nostra storia e la nostra filosofia. Avere un corpo, essere un corpo», scrive Lingiardi, che sottolinea: al centro di Corpo, umano «c’è un corpo immaginifico e carnale, politico e culturale. Non voglio fare crociate fuori tempo massimo contro la tecnologia e la virtualità dei corpi, Sono consapevole che oggi buona parte delle relazioni si svolge onlife, cioè nell’intreccio tra vita online e offline. Ma penso sia più importante riuscire a capire quando la realtà virtuale è una brillante forma di vita a disposizione oppure è una fuga dal corpo». Intanto il corpo abbandonato ricompare in tutta la sua fisicità nelle riprese catturate dagli smartphone durante i conflitti: corpi che muoiono, che perdono sangue, mitragliati e ridotti in pezzi dalle bombe e dai droni. Lingiardi riprende i versi di Wislawa Szymborska in Torture: «Nulla è cambiato…il corpo c’è, c’è e c’è e non trova riparo». E che dire della consistenza attuale del corpo politico, laddove interruzione della gravidanza, procreazione assistita, transizione di genere, fine vita rappresentano temi centrali nelle battaglie per i diritti e nelle rivendicazioni identitarie?
La scomposizione del corpo ci porta a ricordare, amare, e temere i nostri dettagli. A proposito della pelle, Lingiardi riporta un episodio nel quale ci possiamo riconoscere tutti: il fascino e il terrore che provava da bambino di fronte alla statua nel Duomo di Milano di Bartolomeo, uno dei dodici apostoli, poi martire per scorticamento. La Bibbia in mano e la pelle addosso come un mantello: difficile da dimenticare. Anche perché la pelle è il più psichico dei nostri organi, è la superficie dell’amore, ma anche del dolore. Molti psichiatri, rivela Lingiardi, se avessero scelto un’altra specialità, avrebbero fatto i dermatologi.
E ancora una volta torniamo sull’unicità mente-corpo: «È una, anche se sembrano due». La separazione è mitica e fittizia. Lingiardi insiste su questo punto nel capitolo che lui stesso definisce fra i più impegnativi, quello sul cervello, «l’organo che consente di creare e sognare, che ci rende umani». E nel quale i transumanisti ripongono la fede dell’immortalità, del superamento dell’umano: leggere Essere una macchina (Adelphi) di Mark O’Connell è un’esperienza ai limiti dello choc: teste mozzate e corpi in sospensione crionica attendono, nel deserto di Sonora in America, che con l’upload del cervello la vita dell’individuo non abbia più fine. Vogliono diventare «macchine, emotive». Anche qui una virgola di sospensione. Davvero, ciascuno ha la sua.
La ricomposizione del corpo, dopo la scomposizione negli organi-dettagli, porta Lingiardi al suo ritrovamento: fisicità, simbologia, poetica e mitologia dei nostri “oggetti interni” ci conducono a una maggiore consapevolezza. Questo è il desiderio dell’autore di Corpo, umano, che per descrivere l’unicità mente-corpo ricorre a Dante, alla Vita Nova: quando il poeta-bambino incontra Beatrice per la prima volta, il suo corpo gli rivela di essere la vita stessa, con la sua biochimica, l’anatomia, la fisiologia. Cuore, cervello, stomaco: uno trema, l’altro si meraviglia, l’ultimo piange. Ecco, conclude Lingiardi: «Quando ci innamoriamo, il corpo lo sa».
Noi siamo un corpo. Un corpo fisico, un corpo virtuale a talvolta anche un corpo-cyborg. Il corpo ci segue, ci accompagna, ci può consolare o esserci nemico, ignorarci ed essere ignorato. «È il nostro io, ma anche il primo tu». La sua crescente invisibilità non ci rende invisibili. Il fatto che diventi incorporeo non ci rende incorporei. «Noi siamo un corpo che, vivendo, muore. Ma poiché oltre all’occhio, all’utero, al polmone, siamo uno sguardo, un neonato, un respiro, noi siamo il corpo che, morendo, vive». Il corpo lo sa. Noi, non sempre.
Categoria: Cultura
Titolo: Corpo, umano: la centralità del corpo nell’era digitale
Autore: Sergio Bocconi