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Commercio globale sotto assedio

Il ritorno dei dazi minaccia decenni di apertura commerciale, mettendo a rischio crescita, cooperazione e stabilità globale.

La recente imposizione di dazi generalizzati da parte della più grande economia mondiale rappresenta un segnale allarmante di inversione di tendenza nella politica commerciale internazionale. Se non corrette, queste misure rischiano di compromettere le catene di approvvigionamento, scatenare ritorsioni e compromettere decenni di progressi verso l’integrazione economica e la cooperazione multilaterale. Per secoli, lo scambio di beni e servizi oltre i confini nazionali ha rappresentato un motore fondamentale della crescita. Ha favorito l’efficienza, stimolato l’innovazione e ampliato l’accesso a risorse e prodotti. La maggior parte dei paesi che hanno superato la povertà lo ha fatto, in larga parte, grazie all’apertura commerciale.

I dazi—tasse sulle importazioni—hanno storicamente giocato un ruolo centrale e spesso controverso nella politica economica. Dalle teorie mercantiliste dell’Europa moderna alle dispute contemporanee, hanno contribuito a plasmare gli equilibri del commercio mondiale. Il mercantilismo, dominante in Europa tra il XVI e il XVIII secolo, vedeva il commercio come un gioco a somma zero: ciò che guadagnava una nazione, un’altra lo perdeva. I governi cercavano quindi di incentivare le esportazioni e frenare le importazioni tramite dazi, sussidi e restrizioni, ritenendo che l’accumulo di ricchezza rafforzasse il potere dello Stato. All’inizio del XIX secolo, l’economista britannico David Ricardo introdusse la teoria del vantaggio comparato, dimostrando che anche un paese più efficiente in assoluto nella produzione di tutti i beni può trarre beneficio dallo scambio, specializzandosi in ciò che produce con maggiore efficienza relativa. Le barriere commerciali, secondo Ricardo, distorcono gli incentivi e riducono il benessere. Le sue idee hanno posto le basi della moderna teoria del libero scambio e influenzato profondamente gli accordi internazionali.

Eppure, in tempi di crisi, i governi spesso ricorrono ai dazi. Un esempio emblematico è lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, che innalzò i dazi su oltre 20.000 beni importati negli Stati Uniti, nel tentativo di proteggere l’industria nazionale durante la Grande Depressione. Il risultato fu un’ondata di ritorsioni e un crollo del commercio globale: le esportazioni statunitensi si ridussero di oltre il 60%, aggravando pesantemente la crisi economica. Quel fallimento spinse gli Stati Uniti a cambiare rotta. Con il Reciprocal Trade Agreements Act del 1934, il presidente ottenne il potere di negoziare riduzioni tariffarie, aprendo la strada a una nuova stagione di cooperazione commerciale. Da lì nacquero il General Agreement on Tariffs and Trade GATT nel 1947 e, in seguito, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nel 1995.

Tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, la liberalizzazione del commercio e l’espansione delle multinazionali accelerarono la globalizzazione. Il crollo dell’URSS e le riforme di mercato in Cina portarono all’integrazione economica di vaste aree del mondo. Paesi come Corea del Sud, Vietnam e Cina hanno tratto enormi benefici dall’apertura commerciale, industrializzandosi rapidamente e migliorando le condizioni di vita. La povertà globale è diminuita, i consumatori hanno avuto accesso a beni più economici e diversificati, la concorrenza ha stimolato l’innovazione e le imprese hanno sfruttato mercati più ampi e catene di fornitura più efficienti.

Negli ultimi anni, tuttavia, è tornato a farsi sentire il vento del protezionismo. Dall’ingresso della Cina nel WTO nel 2001, sono cresciute le preoccupazioni per la perdita di posti di lavoro in alcuni settori, l’aumento delle disuguaglianze e di pratiche commerciali scorrette. A queste, soprattutto dopo il COVID, si sono aggiunti timori in materia di sicurezza nazionale. In risposta a tutto ciò, diversi paesi hanno reintrodotto tariffe su numerosi beni per proteggere comparti strategici e ridurre la dipendenza da fornitori esterni. Oggi gli Stati Uniti le hanno rialzate a livelli che non si vedevano dai primi del ‘900. Questo contesto ha riaperto il dibattito sul ruolo dello Stato nel gestire il commercio estero. Secondo i critici, i dazi penalizzano i consumatori, riducono l’efficienza, tutelano settori poco competitivi e danneggiano assetti geopolitici consolidati. I sostenitori, al contrario, li considerano strumenti necessari per difendere interessi vitali, correggere squilibri e garantire una concorrenza più equa.

Per affrontare le sfide di domani, il sistema commerciale globale deve evolversi. I futuri trattati dovranno includere nuove priorità, come il commercio digitale, la sostenibilità ambientale e i diritti dei lavoratori. Ma questo progresso richiede collaborazione, non conflitto. Senza un'intesa e un coordinamento efficace tra le grandi potenze economiche, i contrasti rischiano di intensificarsi, producendo seri danni a livello internazionale. La globalizzazione è ormai profondamente intrecciata nell’economia mondiale. Tuttavia, l’imposizione unilaterale di dazi arbitrari da parte di grandi potenze economiche che intendano arrestare questo cammino, rischia di innescare una spirale di ritorsioni ed erodere la fiducia, frammentare i mercati e indebolire il sistema multilaterale. Nel XIX secolo, l’economista francese Frédéric Bastiat ammoniva: «Quando le merci non attraversano i confini, lo faranno i soldati.» È un monito che resta più attuale che mai. I leader globali farebbero bene a ricordarlo.

Categoria: Scenario
Titolo: Commercio globale sotto assedio
Autore: Dante Roscini