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Orbita terrestre

Dalla fantascienza alla realtà: lo spazio non è più altrove. È qui, tra turismo cosmico, romanzi ambientati in orbita e riflessioni sul futuro del pianeta.

Spazio, cosmo, universo, vuoto, infinto. Mito, cosmogonia, leggenda, epopea, fantascienza, fantasy. Lo spazio si conquista, ci appartiene, si raggiunge in taxi, si attraversa in orbita, si elabora in laboratori sospesi. Da sogno a industria, da immaginario e immaginato a vissuto e raccontato. Lo spazio è qui.

La linea virtuale di Kármán, che segna convenzionalmente a 100 chilometri di altezza il confine fra atmosfera terreste e spazio, è già stata superata da quasi 700 persone e nel settembre 2024 è stato segnato il record di esseri umani contemporaneamente nello spazio: 19. Il 14 aprile di quest’anno la Blue Origin, la space company fondata da Jeff Bezos (Amazon), ha portato nello spazio per 11 minuti sei donne, fra le quali la cantante Katy Perry e l’ex giornalista e attuale compagna di Bezos Lauren Sanchez. Tutto trasmesso in diretta tv, il viaggio del primo equipaggio cosmico di sole donne si è concluso con un’esibizione della star che, uscita dalla capsula, ha sollevato al cielo un fiore e ha baciato la terra. Per un viaggio suborbitale di una decina di minuti, le tariffe dei taxi spaziali variano fra i 250 e i 500 mila dollari, mentre un passaggio orbitale può costare oggi oltre 50 milioni di dollari, addestramento compreso, ovviamente. Per informazioni, ci si può rivolgere a Blue Origin, Space X (Elon Musk), Virgin Galactic (Richard Branson), Axiom Space (Michael Suffredini e Kam Ghaffarian).

Lo spazio è qui e ora. E per il momento il traguardo più significativo raggiunto e raggiungibile anche con missioni di equipaggi privati è la Iss, la Stazione Spaziale internazionale gestita dall’agenzia americana Nasa, da quella russa Rka, dall’europea Esa, dalla giapponese Jaxa e dalla canadese Csa-Asc. Sospesa a oltre 400 chilometri dalla terra, lunga 72,8 metri, alta 20 e larga 108, pesante 420 mila chilogrammi, in orbita da quasi 10 mila giorni. Proprio grazie ai privati, cioè a Space X, è stato possibile riportare a terra dopo 286 giorni di permanenza due astronauti che sarebbero dovuti restare nella stazione solo una settimana.

E proprio la Iss ha ispirato (e reso possibile) Orbital, scritto da Samantha Harvey e pubblicato in Italia da NN Editore, il primo romanzo extraterrestre: non si tratta di una storia di fantascienza né di una cronaca spaziale, bensì di un racconto che si svolge per la prima volta interamente al di fuori del nostro pianeta ed è vero, reale. Perché reale e qui, e non più solo immaginario e lontano, è oggi per noi lo spazio.

Samantha Harvey, che nella sua carriera di scrittrice ha esplorato diversi temi e strategie narrative, raccontando tra le altre cose una fragile mente colpita da Alzheimer e le oscurità del mistery, non scrive “immaginandosi” sulla Iss. Né il suo romanzo si svolge lì ufficialmente. Ma il luogo è quello e l’autrice ricostruisce gli accadimenti con lo spirito e l’attenzione di chi ha potuto attingere informazioni e suggestioni da diari e documenti di bordo. Protagonisti sono sei astronauti, o meglio due cosmonauti russi Roman e Anton, e quattro astronauti Shaun (Usa), Chie (Giappone), Pietro (Italia), e Nell (Gran Bretagna) che, all’interno di una grande H di metallo sospesa sopra di noi, pensano, parlano, dormono, si allenano, fanno esperimenti, coltivano e condividono ricordi, smarrimenti e sensazioni, svolgono faccende domestiche, passeggiano nel vuoto, osservano la terra e in particolare seguono il percorso e l’evoluzione di un tifone, che si aggira sotto di loro come una belva primitiva. Il romanzo è la descrizione corale di una loro giornata, nel corso della quale girano intorno alla terra a 29 mila chilometri all’ora 16 volte: vivono, vedono, ammirano e soffrono 16 albe, 16 tramonti e 16 notti. Nel corso di una missione, che dura in media 9 mesi, le albe sono 4.320, e così i tramonti. Ma lo stupore non li abbandona.

Nelle 170 pagine del racconto non succede nulla, ed è senz’altro un bene perché qualsiasi cosa faccia notizia in orbita in genere non è una buona notizia. O meglio, l’unica vicenda che diventa cronaca si svolge sulla terra ed è il tifone, che si abbatte con forza sull’Asia orientale spazzando villaggi e città, facendo crollare ponti, palazzi e aeroporti. Ma tutto questo accade mentre la stazione spaziale viaggia in una pace e un silenzio indicibili.

A 400 chilometri dal nostro pianeta accade invece il pensiero. Un flusso che potrebbe riportare a James Joyce o a Herman Melville. E che si rivela un esperimento letterario reso possibile dalla distanza, dalla novità del luogo, dalla tecnologia che sostituisce il palcoscenico naturale, e anche dal fascino dei nuovi cavalieri, marinai, impiegati dello Spazio. Gli astronauti si scambiano ricordi e riflessioni. Ed è forse inevitabile si parli di Dio. Già, come fa un astronauta a credere in Dio? L’universo è uguale per tutti loro, ma a fare la differenza è la risposta a questa domanda: è un evento naturale o un’opera d’arte? Una differenza allo stesso tempo banale e insormontabile, impercettibile ma abissale. Ed è forse altrettanto inevitabile che, confrontando vite e motivazioni che li hanno portati sulla Stazione, si trovino a riflettere sul progresso: è bello? Il progresso non è una cosa ma una sensazione, avrebbe voluto dire Pietro a sua figlia, che al suo entusiasmo ha opposto la bomba atomica e i progetti di palazzi sulla Luna. Io adoro la Luna così com’è, gli ha detto la ragazza, e lui non ha risposto subito come avrebbe fatto dopo, a se stesso: il progresso è un miscuglio di avventura ed espansione che parte dalla pancia e sale fino al petto e spesso arriva alla testa. Dove in molti casi finisce per rovinarsi.

Alla fine, però, il racconto rende con evidenza onore al vero protagonista del libro: la terra. Alla quale gli astronauti dedicano per tutto il giorno, ogni giorno, tempo e domande. Ma la terra è la risposta a tutte le loro domande. È la madre che aspetta il loro ritorno. E il libro è un’elegia dedicata a lei.

Orbital ha vinto il Booker prize 2024, premio letterario fondato nel 1969 e assegnato ad autori di libri scritti in inglese e pubblicati nel Regno Unito e Irlanda. È invece destinato a libri tradotti in inglese e scritti in qualsiasi parte del mondo l’International booker prize che, sempre nel 2024, è stato vinto dalla tedesca Jenny Erpenbeck con Kairos, pubblicato in Italia da Sellerio. Un romanzo tradizionale, sebbene ardito, che si svolge in un luogo che oggi non esiste più: la Ddr, la Germania Est. Ecco, non è di poco conto osservare gli orizzonti dei due libri, riconosciuti da premi “fratelli”, che guardano l’uno a un mondo presente ma che ha dentro di sé il futuro, l’altro al mondo passato che però sembra sopravvivere grazie ai richiami del presente. E il presente appunto è il momento di incontro: la geopolitica internazionale che oggi riporta alla luce la geografia della guerra fredda. Kairos racconta una storia d’amore meravigliosa e tossica, che sussulta, si contorce e declina nel periodo in cui la Germania Est collassa e il muro cade. E tutto il mondo precedente cade con esso. Comprese le aspirazioni a un mondo nuovo.

Eppure, a sopravvivere è la storia, perché ciò che è accaduto, si ripete nel libro, non si può seppellire. Una storia fatta di ricordi inquieti ma anche di orgoglio. Come è orgoglio quello coltivato dai cosmonauti russi che, sulla Stazione spaziale internazionale, ricordano i loro eroi dello spazio e in particolare Sergei Krikalev, il primo russo della prima spedizione orbitale, che era già stato nello spazio mandato dall’Unione sovietica ed era rimasto in orbita sulla Mir sei mesi in più del previsto. Già, Krikalev è l’anti-Armstrong nella concorrenza spaziale della guerra fredda. Una concorrenza che per Anton ha significato fin da subito anche un tradimento, una delusione: un giorno, quando era bambino, ha capito che nessun russo era andato sulla luna, come gli aveva invece raccontato suo padre. Oggi, nella grande H sospesa, ciascuno di loro trascura l’editto che invita ogni astronauta a utilizzare solo la toilette della propria nazione «a causa delle controversie politiche in corso». 

E tutti insieme galleggiano davanti a un film sugli alieni. Poi si infilano nei sacchi a pelo appesi in una specie di cabina telefonica. Guardandoli, a tutti prima o poi è venuto da chiedersi: tutto qui? Ma l’esplosione di una delle 16 albe del giorno e l’abbandono della linea di confine fra nero e azzurro che divide la terra, li convince che no, non è tutto qui.

Categoria: Cultura
Titolo: Orbita terrestre
Autore: Sergio Bocconi