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Munch a Milano

Munch. Il grido interiore è il titolo della retrospettiva dedicata al pittore norvegese a Palazzo Reale dal 14 settembre.

È una delle mostre più attese della stagione quella che il Palazzo Reale di Milano ospiterà dal 14 settembre 2024 al 26 gennaio 2025. Munch. Il grido interiore segna il ritorno dell’artista norvegese nella città lombarda a quarant’anni di distanza dall’ultima mostra a lui intitolata, riunendo ben cento opere che ripercorrono la parabola umana e creativa del pittore scomparso nel 1944. Curata da Patricia G. Berman – attenta studiosa della poetica di Munch – e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia, la retrospettiva è frutto della collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo, dal quale provengono i capolavori selezionati per scandagliare l’immaginario di uno dei precursori dell’Espressionismo.

Fin dal titolo la rassegna – che farà tappa anche a Roma, a Palazzo Bonaparte, dal 18 febbraio al 2 giugno 2025 ‒ mette in risalto il talento di Edvard Munch nel dare forma al proprio “grido interiore”, facendosi portavoce di emozioni collettive quali il dolore e l’inquietudine. L’esistenza stessa dell’artista è costellata di eventi drammatici: la morte prematura della madre e della sorella, malate di tubercolosi, la perdita del padre e la turbolenta relazione sentimentale con Tulla Larsen ebbero un inevitabile impatto sull’equilibrio dell’artista e sulla definizione del suo linguaggio pittorico. Abbandonate le influenze naturaliste degli esordi, Munch entrò in contatto con lo sguardo impressionista e postimpressionista durante il primo soggiorno a Parigi del 1885, avviando un’autonoma riflessione sul colore come strumento per sondare i confini dell’interiorità. «Ho cominciato come impressionista» – scriverà ‒ «ma dopo l’aspra introspezione e i conflitti esistenziali che ho attraversato nel periodo bohémien, l’impressionismo mi è parso privo dell’efficacia espressiva di cui nel mio lavoro avevo bisogno. Dovevo andare alla ricerca di sensazioni che toccassero il mio più intimo essere» [1]. 

Nel 1892 è a Berlino, dove la sua personale suscita un tale scandalo da essere chiusa poco dopo l’inaugurazione. Ma lo stile di Munch è ormai indipendente, definito e si attesta su cromie capaci di veicolare i temi e le sensazioni che abitano i soggetti delle opere in arrivo a Milano: disperazione, angoscia, morte, malattia affiancano un concetto di amore che si traduce in forme femminili dalle sembianze vampiresche o in Madonne esplicitamente laiche o, ancora, in baci divoranti, emblema di un’affettività messa a dura prova dalla sfortunata biografia emotiva dell’artista. Se le atmosfere evocate da Notte stellata (1922-24) e da Le ragazze sul ponte (1927) restituiscono un’idea di solitaria sospensione, è il Grido, presente in mostra nella versione litografica del 1895, a dare prova ancora una volta non solo della maestria di Munch nel padroneggiare tecniche diverse e complementari, ma anche della sua straordinaria capacità di sintesi su scala universale: in pochi tratti «l’esperienza emotiva si dilata in malessere cosmico» [2]. Del resto fu lui stesso a domandarsi, nel 1905, che cosa fosse l’arte e a rispondere: «L’arte emerge dalla gioia e dal dolore. Maggiormente dal dolore. Fiorisce dal vivere umano. L’arte descrive questo vivere – le sue manifestazioni» [3]. 


Nonostante Munch abbia piena consapevolezza del suo stato psicofisico, altrettanta è la contezza del ruolo giocato dall’arte anche nello scenario più fosco, come quello della malattia nervosa che colpì l’artista nell’inverno del 1904-1905: «L’unico mio conforto in quel frangente era che la mia capacità di dipingere appariva intatta» [4] . I successivi ricoveri in case di cura e l’isolamento in cui Munch scelse di trascorrere gli ultimi anni della sua esistenza – sino alla morte avvenuta a breve distanza dall’ottantesimo compleanno ‒ diventano “materia” che confluisce nelle sue opere, quasi fossero un tutt’uno. «Quando dipingo la malattia e la sofferenza» – scrive Munch – «io avverto, al contrario, una benefica liberazione. […] Ho sempre lavorato meglio dipingendo quadri che si riferivano alla mia esistenza. Li ho esaminati uno a fianco all’altro e ho notato che il contenuto tematico li collega uno all’altro. Mi sono reso conto delle loro vicendevoli risonanze, hanno assunto un significato diverso rispetto a quello che possedevano separatamente. Sono diventati una sinfonia» [5].
La medesima sinfonia che la mostra milanese intona coinvolgendo altre realtà culturali cittadine, ospiti di eventi e iniziative dedicati a Munch e agli snodi tematici dei suoi lavori attraverso il linguaggio della musica, della letteratura, del cinema e dell’architettura.

 

[1] Edvard Munch, Frammenti sull’arte, Abscondita, Milano 2007, p. 31.
[2] Eva Di Stefano, Munch, in «Art e Dossier», inserto redazionale allegato al n. 96, dicembre 1994, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, p. 25.
[3] Edvard Munch, op. cit., p. 15.
[4] Edvard Munch, op. cit., p. 52.
[5] Edvard Munch, op. cit., p. 53

 

Categoria: Arte
Titolo: Munch a Milano
Autore: Arianna Testino