L’era dell’ignoranza
A cent’anni dalla nascita del maestro Manzi, una disamina lucida del ruolo dell’educazione e dell’ignoranza oggi.
Ha capito in fretta le grandi opportunità dei nuovi media, è stato un potente influencer, ha avuto milioni di follower ma non ha guadagnato una sola lira (sì, lira) in più rispetto al suo stipendio di insegnante. Anzi, talvolta le accese ribellioni sul metodo gli sono costate la busta paga.
Il 3 novembre ricorre il centenario della nascita di Alberto Manzi, il maestro di Non è mai troppo tardi, la trasmissione televisiva che la Rai ha mandato in onda negli anni Sessanta con spirito pionieristico contro l’analfabetismo. Lui, capitato lì quasi per caso, si è rivelato una star grazie a due convinzioni: l’attenzione, in classe come in tv, va guadagnata e non “appisolata”; solo l’istruzione può far sì che l’umanità possa vivere meglio. Un pensiero, quest’ultimo, allora condiviso anche e soprattutto da chi vedeva nella possibilità di studiare il principale strumento di sviluppo e di progresso, individuale e collettivo.
Già, ma oggi Manzi potrebbe avere lo stesso successo? Forse sì, considerando il seguito che hanno trasmissioni tv, video e podcast di storia, scienze e cultura. Però non è questo il punto. Non stiamo parlando di intrattenimento, per quanto valido e stimolante. Bensì di una questione di fondo.
In questi giorni si torna in classe e si ripropone un interrogativo: la scuola produce ancora successo scolastico e dunque benessere? Per decenni l’ascensore sociale ha portato con sé una risposta certa e positiva. Ma oggi? Le attese di una migliore qualità della vita grazie all’educazione sembrano attenuate, se non spesso tramontate. L’abbandono scolastico, la vita online e il diffuso sentimento populista anti-elitario che alimenta l’orgoglio dell’ignoranza e la svalutazione delle competenze mostrano un cambio radicale di percezione e azione collettiva.
L’impegno visionario di Manzi rappresenta un esempio importante nella lotta della conoscenza contro l’ignoranza. Lotta che in Italia (come altrove nei Paesi industrializzati) ha portato a una vittoria ormai consolidata: nel nostro Paese l’analfabetismo ha osservato un calo costante dal primo censimento a oggi, passando dal 74,1 percento del 1861, al 12,9 percento del 1950, fino all’1,06 percento del 2011. Calo proseguito allo 0,6 percento nel 2020.
Tuttavia, se le lezioni televisive del “maestro dei due mondi” (insegnò anche in America Latina, come ci ricorda Patrizia D’Antonio in Ogni altro sono io, libro su Manzi maestro e scrittore umanista, pubblicato da Castelvecchi Editore) hanno raggiunto l’obiettivo anche solo consentendo a circa 1,5 milioni di italiani di conseguire la licenza elementare, quella passione per l’istruzione come valore in sé e strumento di riscossa e promozione sembra oggi aver perso forza, alla luce di quando sostiene lo storico britannico Peter Burke nel suo ultimo libro Ignoranza. Una storia globale (Raffaello Cortina editore).
Perché l’interpretazione trionfalistica della sconfitta dell’ignoranza da parte della conoscenza, che ha dominato per qualche secolo a partire dal 1700, è sostituita oggi dalla convinzione che l’avvento di nuove conoscenze nel corso dei secoli ha necessariamente implicato l’avvento di nuove ignoranze. «Collettivamente l’umanità sa più di quanto abbia mai saputo prima, ma individualmente non abbiamo più conoscenze dei nostri predecessori».
Non solo, in un orizzonte globale, oggi dobbiamo scrivere un capitolo inedito, senza precedenti nella storiografia di questi temi, dedicato all’ignoranza nell’età della sovrabbondanza. Cioè un’assenza o privazione di conoscenza (definizione tradizionale dell’ignoranza) non favorita dalla mancanza di informazioni, ma al contrario da un eccesso, un vero (prima impensabile) sovraccarico: «Oggi, e ciò è abbastanza paradossale, è l’abbondanza di informazioni a diventare un problema. Gli individui sono sommersi da un diluvio di informazioni e sono spesso incapaci di selezionare quel che vogliono o di cui hanno bisogno, condizione nota come filter failure (mancato filtraggio). Di conseguenza la società dell’informazione alimenta la diffusione dell’ignoranza perlomeno quanto contribuisce alla diffusione della conoscenza». Non c’è bisogno di sottolineare quanto determinante sia in questo scenario la diffusione di internet e dei social media.
Secondo Burke questo è il momento giusto per esplorare e collocare nelle sue effettive dimensioni il ruolo dell’ignoranza, compresa quella attiva, cioè volontaria, ruolo che, secondo lui, è stato sottovalutato, spesso con conseguenze disastrose. E perché è oggi il momento giusto? Perché tale sottovalutazione è resa evidente «dalle risposte dei governi al cambiamento climatico, troppo esigue e decisamente in ritardo» e da «recenti manifestazioni di ignoranza presidenziale». Lo storico cita Donald Trump in riferimento soprattutto alle sue performance di fronte al Covid-19: «Soffre di ignoranza nella sua forma più acuta, quella di non sapere che non sa».
Sì, perché Burke indica oltre 40 definizioni e manifestazioni di ignoranza. Una tassonomia variegata e per certi aspetti divertente che parte da un cruscotto fondamentale: per risalire all’oggetto e alle radici dell’ignoranza bisogna distinguere fra ciò che si sa di sapere, ciò che si sa di non sapere (cose che sappiamo che esistono ma non le conosciamo), ciò che non si sa di non sapere (Colombo che scopre l’America cercando le Indie) e ciò che non si sa di sapere, territorio che può declinare nell’inconscia volontà di non sapere.
Tutte le forme di ignoranza portano con sé conseguenze anche molto gravi, catastrofiche. Burke ricorda le battaglie e le guerre perse a causa della mancata o scarsa conoscenza anche soltanto della storia, militare e non, del nemico, che può portare a una sua sottovalutazione: dalle campagne di Russia di Napoleone e di Hitler, alle guerre americane in Vietnam e Afghanistan.
Ma l’ignoranza può essere motivo di sconfitta e rivelarsi fatale anche in politica, nella medicina, negli affari. L’ignoranza può essere coltivata attraverso le credenze, le voci, le false notizie. E prodotta, con la censura, gli insabbiamenti, lo spionaggio, l’hackeraggio, la diffusione e la sovrabbondanza di bugie, la disinformazione: siamo nell’epoca delle fake news e della post-verità. Certo, esistono anche l’ignoranza creativa, che può portare all’innovazione, e quella virtuosa, che può essere utile nella rinuncia, per esempio, alla ricerca su armi apocalittiche. Ma Burke non ha dubbi: «Le conseguenze negative dell’ignoranza pesano più di quelle positive» anche perché «coloro che detengono il potere spesso mancano delle conoscenze di cui avrebbero bisogno, mentre coloro che possiedono quelle conoscenze non hanno il potere». Come gli insegnanti, ai quali lo storico dedica lo studio: «Eroi ed eroine dei tentativi quotidiani di porre rimedio all’ignoranza».
Eroi ed eroine che oggi rappresentano uno dei bersagli pubblici preferiti nell’”era dell’incompetenza”, delineata da Tom Nichols, professore emerito allo US Naval War College, nel libro La conoscenza e i suoi nemici (LUISS University Press).
«Viviamo in tempi pericolosi», scrive, «mai tante persone hanno avuto accesso a tanta conoscenza e tuttavia hanno esercitato tanta resistenza all’apprendimento di qualsiasi cosa». Secondo Nichols «stiamo assistendo alla fine dell’idea stessa di competenza, cioè al crollo alimentato da internet di qualsiasi divisione tra professionisti e profani, studenti e insegnanti, studiosi e fantasiosi speculatori». La tendenza a cercare solo le informazioni che confermino ciò in cui crediamo, il disprezzo per le élite della conoscenza, l’arroganza con cui viene esibita l’assenza di conoscenza, più inquietante dell’ignoranza in sé, concorrono a determinare fenomeni come le barricate no-vax, l’assalto al Campidoglio americano e la diffusione di teorie complottiste. Sono un pericolo per la democrazia? Senza dubbio ne aumentano la fragilità, anche se non ne va sottovalutata la capacità di resistenza, soprattutto laddove le basi sono più solide: così il recente risultato delle elezioni inglesi potrebbe in teoria ribaltare la Brexit, una delle vittorie più clamorose della propaganda fake che ha prodotto e diffuso un’ignoranza effimera, incapace sul momento di valutare le conseguenze di ciò che stava accadendo.
Categoria: Cultura
Titolo: L’era dell’ignoranza
Autore: Sergio Bocconi