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Circa i confini

Tra prospettiva storica e indagine del futuro, sono sempre di più i volumi che raccontano il tema dei confini.

Ci sono confini solidi e confini effimeri, netti e sfumati, segnati dal crinale di una montagna o da un muro, che scivolano, si riducono, si spostano, scompaiono. Tracciati e contestati. Confini difesi, violati, contesi, cancellati, voluti o indesiderati. Confini impossibili o inaccessibili, invisibili o opprimenti, che danno libertà e che la tolgono. Le linee che separano noi dagli altri sono la nostra storia e la nostra geografia, umana, politica, costruita sui campi di battaglia e a tavolino, con il solco, con le armi o con la matita. Con intenzione o distrazione. Mai senza conseguenze.

Di confini si parla molto oggi: le guerre, l’instabilità geopolitica, le migrazioni e perfino il cambiamento climatico ce li ricordano ogni giorno. E di confini si scrive molto: negli ultimi dodici mesi sono stati pubblicati e distribuiti anche in Italia numerosi libri. Ogni confine è prima di tutto la narrazione del limite che ci separa dagli altri. E la narrazione risente delle sensibilità di chi la costruisce, e dei tempi nei quali viene condivisa. Così oggi i libri sui confini possono avere una prospettiva storica molto ampia o focalizzata su alcuni confini particolari, ma in ogni caso raccontano più la separazione della vicinanza : il ritorno dei nazionalismi porta con sé divisioni e distinzioni che sembrano travolgere gli spiriti internazionali o universali, le spinte a unirsi, a cancellare frontiere. Non solo: in modi diversi gli autori ci ricordano che la narrazione di oggi raccoglie le conseguenze di scelte – antiche o recenti, spesso arbitrarie e contingenti – e di decisioni dipese più da vantaggi nel breve termine (anche personali), che non hanno tenuto conto degli effetti che avrebbero potuto avere per decenni o secoli.

Tra i “pionieri” di questa nuova serie di pubblicazioni c’è Maledetti confini di James Crawford (Bollati Boringhieri), mentre tra i lavori più recenti troviamo I 47 confini che dividono il mondo di Jonn Elledge (Garzanti). Nel frattempo, nell’anno che separa i due libri, sono usciti (senza pretesa di essere esaurienti), Guerre di confine di Klaus Dodds (Einaudi), Linee invisibili di Maxim Samson (Laterza), Contro i confini di Gracie Mae Bradley e Luke De Noronha (Add editore), Le 10 mappe che spiegano il mondo di Tim Marshall (Garzanti), il numero di Mappe (Touring club italiano) con il titolo Confini, con/fini di Marco Aime e Davide Papotti (edizioni Gruppo Abele), e Io sono confine di Shahram Khosravi (Elèuthera).

Un boom che evidentemente rintraccia una richiesta specifica. E che sembra andare al di là delle emergenze che ogni giorno provengono dalle cronache di guerra. I confini infatti non si esauriscono nella loro conquista o difesa. E hanno storie che molto si prestano a suggestioni e sorprese.

Un esempio è il capitolo dedicato da Crawford al “confine mobile”. Non si parla qui di Russia e Ucraina, né di Medio Oriente. Bensì dell’Italia, di come cambia la linea invisibile che separa il nostro Paese dall’Austria: un confine in movimento a causa del ritiro dei ghiacciai. La circostanza, evidente anche ai negazionisti del climate change, è oggetto di convenzioni tra Stati e di interventi legislativi, l’ultimo dei quali riguarda inoltre il nostro confine con la Svizzera: è delle scorse settimane il “caso” dell’area del Plateau Rosa, che ha fatto rumore perché coinvolge rifugi e impianti di risalita. L’Italia perde un po’ di territorio ma probabilmente senza particolari conseguenze.

Una delle suggestioni più potenti riguarda invece il confine numero uno, il primo confine “provabile” nella storia. E qui gli autori si dividono. Crawford inizia la sua opera descrivendo un cippo che 4500 anni fa fu collocato in cima al terrapieno di confine tra le città-Stato mesopotamiche Lagash e Umma, protagoniste di una lunga guerra. Elledge invece sceglie di aprire così il suo libro: «Il motivo principale per cui siamo venuti a conoscenza del primo attestato di confine internazionale creato dall’uomo è stato la sua abolizione». Colpo di scena. Che avrebbe avuto luogo intorno al 3100 a.C. quando la linea di demarcazione tra Basso e Alto Egitto cessò di esistere perché Menes (o Narmer) unificò i due regni diventando il primo Faraone.

Salto nel tempo, e non solo. Per un puro caso, ci dice Elledge, proprio a Sud del Cairo, su quella linea tracciata nel momento della sua scomparsa, passa un altro confine: quello dell’Eurovision. La zona europea di radiodiffusione, istituita negli anni Cinquanta con spirito comunitario, comprendeva e comprende oltre 50 stati, undici dei quali (tra cui l’Egitto, appunto) non si trovano in Europa.

Sì, perché le frontiere possono essere labili, disegnate dalla musica o da una matita verde, come quella che ha tracciato nel 1949 il confine di fatto di Israele, alla fine della guerra con gli Stati arabi conclusa con l’armistizio. Una linea sempre considerata provvisoria e che è stata tolta dalle mappe a partire dal 1967, dopo la Guerra dei sei giorni. Di sicuro, però, molti confini sono stati indicati in modo più permanente, con l’inchiostro. E sono rimasti, nonostante l’incuranza dei loro autori e il fatto che oggi dividano un mondo radicalmente cambiato. Alcuni dei 47 confini selezionati da Elledge sono il risultato della corsa all’Africa intrapresa dagli Stati europei. Per capire cosa abbia significato in termini di frontiere e delle relative conseguenze, l’autore riporta una frase pronunciata nel 1890 dal primo ministro britannico, Lord Salisbury: «Abbiamo disegnato mappe e regioni dove l’uomo bianco non aveva mai messo piede; ci siamo spartiti montagne, fiumi e laghi appena frenati dal trascurabile fatto che sapevamo a stento dove fossero». Ma anche quando l’ignoranza non poteva essere una scusa, negligenza e pigrizia hanno fatto danni tutt’altro che trascurabili. Nella Commissione per il confine tra Sudan e Uganda creata nel 1912 le buone intenzioni del capo della sezione sudanese, Harry Kelly, non evitarono che la “stanchezza” del capitano Tufnell, che guidava la sezione ugandese, portasse a un risultato a dir poco imperfetto: un terzo del confine fu disegnato senza rilevazioni sul luogo, semplicemente con una linea retta. E ancora oggi, proprio lì, permangono contese tra Sudan del Sud e Kenya. Così come ancora oggi le mappe dell’Africa sono piene di linee “stranamente dritte”. Non è comunque un’esclusiva: anche in Medio Oriente il righello non è stato risparmiato.

I racconti sui confini attingono alla storia, ma anche al futuro. È del resto inevitabile chiederci oggi quali frontiere segneremo nello spazio. A cominciare dal confine stesso dello spazio. Inizia poco oltre gli 80 chilometri di altitudine, come fissato con la linea di Kármán? Se non ci sono stati problemi per definire «passeggiata nello spazio» l’escursione organizzata in settembre da SpaceX (la corporation di Elon Musk) ed effettuata a 700 chilometri di altitudine, la questione del confine si è presentata in occasione della gara tra la Virgin Galactic (di Richard Branson) e la Blue Origin (di Jeff Bezos) per chi fosse il primo a vendere una gita nello spazio. E si ripresenterà quando si tratterà di decidere i prezzi delle corse sui taxi cosmici.

Nello spazio ripeteremo gli errori compiuti sulla terra? A giudicare dal caso Hope, viene da rispondere in modo affermativo. Dennis Hope nel 1980 pensò di aggirare il divieto all’appropriazione nazionale dei corpi celesti sostenendo che lui era una persona, non uno Stato. E si mise a vendere in piccoli lotti la “sua” Luna. Il trucchetto non andò a buon fine. Ma dimostrò che non si possono lasciare i confini della Luna o di Marte all’arbitrio di un Totò qualunque. Che magari sul pianeta rosso non ci è nemmeno stato.

Categoria: Cultura
Titolo: Circa i confini
Autore: Sergio Bocconi