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Tornare a respirare

Questi appunti non parlano della pandemia di Covid-19 e dei suoi effetti su come viviamo la casa e la città. È vero, però, che la crisi sanitaria ha accelerato l’evoluzione del modo in cui tutti noi, in Italia e altrove in Europa, stiamo all’aria aperta nelle nostre abitazioni e nello spazio pubblico. Stiamo ricominciando a “respirare”, per tante ragioni e in tante occasioni. Dobbiamo ancora renderci conto pienamente degli effetti rivoluzionari di questa “boccata d’aria” che forse, tra qualche anno, avrà trasformato radicalmente i territori costruiti del nostro paese e di tutto il continente.

Durante gli ormai antichi lockdown di inizio decennio il nostro spazio domestico si è rivelato troppo piccolo, promiscuo e limitato nelle sue configurazioni. Fatta eccezione per qualche happy few, abbiamo litigato con famiglie e coinquilini in appartamenti soffocanti e abbiamo osservato il passare delle stagioni stretti su striminziti balconcini, ingombri di fioriere e mobiletti. Le terrazze piacevano a tutti anche prima del 2020, ma è in quel momento che sono state riconosciute all’unanimità come ambiente necessario, e al limite sufficiente, della casa contemporanea. Uno sguardo al mercato immobiliare dei nostri giorni lo testimonia chiaramente: in una città come Milano che, malgrado tutto, sa ancora essere gelida per molti mesi all’anno, ogni nuova operazione immobiliare residenziale insiste sull’ampiezza delle sue logge e dei suoi balconi, sempre rappresentati come arredati di tutto punto e verdeggianti di una vegetazione rigogliosa.

Ovunque in Italia la terrazza sta affiancando e talvolta sostituendo il salotto come baricentro della casa, spazio al tempo stesso di rappresentanza e di vita quotidiana. Sulla scia del surriscaldamento climatico, poi, questo trend si sta rapidamente espandendo anche a nord delle Alpi. L’Europa del 2030, sembra inevitabile, sarà un continente climatizzato, percorso dal ronzio dei motori esterni delle arie condizionate di ciascuno, ma sarà anche un continente di case-terrazza, i cui paesaggi urbani saranno decorati dai nostri pollici verdi.

I cambiamenti climatici, i loro effetti e i tentativi di arginarli, hanno un impatto lampante anche sugli spazi pubblici delle nostre città. Fa più caldo in inverno e quindi si sosta nelle strade e nelle piazze e vi si svolgono attività di vario genere anche in bassa stagione. Le immagini delle metafisiche piazze padane gelide e nebbiose da ottobre a febbraio sono ormai un lontano ricordo. Fa troppo caldo, invece, in primavera e in estate, ma le città adottano nuove strategie e dispositivi per stemperare i momenti più bollenti. Lo spazio urbano si de-mineralizza e si fa giardino, morbido di prati e ombreggiato da filari di piante resistenti ai capricci della meteorologia contemporanea.

Si fa anche fresco ristorante: nelle città italiane, che il successo del commercio online e la moltiplicazione dei centri commerciali hanno svuotato di negozi, i dehors delle infinite attività di somministrazione di cibo diventano punti di aggregazione e di protezione degli eccessi climatici. Qualcuno ha descritto questo fenomeno in toni polemici come la nascita di una pervasiva “Tavolinia” pronta a invadere ogni spazio libero, ma non è questa la sede per verificare gli estremi di questa diatriba.

La città, soprattutto, trasforma il suo suolo per accogliere i protagonisti del suo presente e del suo futuro, che sono i pedoni. Si è ormai conclusa l’epoca, per la verità breve, dell’onnipresenza e dell’onnipotenza dell’automobile, e se ne dovranno fare una ragione i nostalgici del parcheggio facile. Le fotografie degli anni Settanta e Ottanta con le migliaia di FIAT di colori pastello ammassate sui sagrati delle chiese più belle d’Italia sembrano appartenere a un’altra era geologica. Molta acqua è passata sotto i ponti dall’istituzione delle prime isole pedonali – a Perugia nel 1975, a Roma attorno al Colosseo nel 1980 – e anche dalla prima operazione di tactical urbanism, cioè d’intervento leggero, rapido e reversibile sullo spazio pubblico. La poetica piazza dell’Immaginario di Prato (in copertina, scatto di Luca Ficini), realizzata in poche settimane nel 2014 nel parcheggio di un supermercato, su progetto del collettivo ECÒL, non esiste più ma ha indicato una strada che le amministrazioni locali stanno seguendo un po’ ovunque.

È in corso una paziente operazione di ridefinizione dei confini che attraversano il piano terra urbano, la cui direzione è chiara: strade sovradimensionate, slarghi senza forma, tracciati ridondanti nelle griglie stradali sono recintati, sottratti alla mobilità rapida e a volte anche a quella dolce, per diventare nuovi luoghi di sosta e di aggregazione. Anche in questo caso l’esempio di Milano, città italiana per eccellenza del “parcheggio selvaggio” – immagine comica e vivida, tanto cara al linguaggio giornalistico – è particolarmente lampante: un paletto dopo l’altro, una superficie colorata dopo l’altra, una panchina dopo l’altra, le automobili scendono dai marciapiedi, si allontanano dalle radici degli alberi, liberano incroci e attraversamenti pedonali.

Una città ordinata, sgombra e arredata di nuovi oggetti – fioriere, sedute, tavoli da ping-pong – rimpiazza il “rumore visivo” delle sagome metalliche distribuite più o meno alla rinfusa. La città italiana ed europea del futuro si preannuncia più spaziosa, più silenziosa, più lenta e a misura d’uomo. E meno inquinata, il che non è un male per ricominciare a respirare a pieni polmoni. È una città che si fa un po’ più casa, così come la casa-terrazza ricorda, in fondo, una città in miniatura.

Categoria: Architettura & Design
Titolo: Tornare a respirare
Autore: Alessandro Benetti