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Scienza e letteratura

Il passaggio dalle certezze alle probabilità. I computer e la bomba atomica. La vita digitale e la singolarità, ovvero il primato (e il controllo) dell’Intelligenza Artificiale su quella umana. La scienza come strumento di salvezza e dannazione dell’uomo, e dello scienziato in particolare. Sono questi i principali fili che lo scrittore Benjamín Labatut crea e percorre in Maniac (Adelphi, 2023, 362 pp), progetto tra narrativa e non fiction, immaginazione e fatti reali che si svolge in continuità con i due precedenti libri – pubblicati sempre da Adelphi – La pietra della follia (2021, 78 pp) e Quando abbiamo smesso di capire il mondo (2021, 180 pp).  

Siamo nella cronaca, non c’è che dire. Lo spettro di una deriva nucleare del conflitto tra Russia e Ucraina ha dissepolto fantasmi che sembravano almeno allontanati dalla politica della deterrenza. La singolarità – rischio sistemico teoricamente determinabile dal progresso dell’IA – non è più tema circoscritto nei ristretti incontri tra scienziati e manager creatori delle Big Tech, spesso influenzati dalle mire monopolistiche di questi ultimi. È diventata oggetto di attenzione degli Stati, di faticosi tentativi di regolamentazione internazionale, in particolare europei, patrimonio e incubo comune, tra fake news e circolazione di emozioni e timori coltivati spesso artificialmente.

Ma la cronaca non si risolve in accadimenti. Per Labatut, 43 anni, nato a Rotterdam e cittadino cileno, il nostro presente è assimilabile a una situazione che negli scacchi è definita off-book: un punto di svolta inesplorato, senza precedenti, determinato dall’irruzione del nuovo, dalla sconvolgente velocità con la quale si sono abbattute su di noi e sulla nostra storia l’immane ondata di novità – i mostri e i prodigi di tecnologia e scienza – con effetti moltiplicati dalla iper-connessione. Uno scenario che porta a domandarci quando abbiamo smesso di capire il mondo e se in realtà l’abbiamo mai capito. E se tutto ciò che noi viviamo è reale. È reale? Labatut è convinto che ciò che sta accadendo intorno a noi sia reale e irreale allo stesso tempo. L’evoluzione è imprevedibile. Lo smarrimento è evidente: si resta ammutoliti di fronte al caos.

Nei suoi libri Labatut indica l’orizzonte al quale vanno riferiti i primi passi che ci hanno portato a questo sconcerto. Passi fondamentali che in matematica e fisica hanno sostituito la certezza con l’incertezza, il determinismo con l’indeterminazione, gli assiomi con le probabilità e la completezza con l’incompletezza. I protagonisti dei suoi libri, da lui stesso definiti opere di finzione basate sulla realtà, sono alcuni degli scienziati che hanno posto le basi della meccanica quantistica in un mondo che stava precipitando nella tragedia delle dittature e dell’orrore.

In Maniac l’attore principale è János o John o Johnny von Neumann, ungherese emigrato negli Stati Uniti nel 1937, lo scienziato che ha creato il primo computer completamente programmabile – il Maniac, appunto – formulato le basi matematiche della meccanica quantistica, scritto le equazioni per l’implosione della bomba atomica, concepito la teoria dei giochi e del comportamento economico, preconizzato l’avvento della vita digitale e delle macchine autoreplicanti, dell’intelligenza artificiale e della singolarità tecnologica, e che ha promesso alla comunità scientifica un controllo sul clima terrestre.

Il suo terreno di studi è talmente ampio da permettere di  collocarlo tra le figure centrali della scienza del secolo scorso, nonostante (forse per la vastità degli interessi) non sia stato insignito di un premio Nobel. L’accorgimento narrativo che ne traccia il carattere – turbolento, facile a un umorismo greve e incomprensibile ai più) – gli studi realizzati e le ricerche incompiute è un ricco gioco di specchi: parlano di lui la madre, Margit Kann, le due mogli, Mariette Kövesi e Klara Dan, la figlia Marina, il fratello Nicholas Augustus, e scienziati come Eugene Wagner, Gábor Szego, Richard Feynman, Julius Bigelow. Lo descrivono, lo elogiano, si lamentano e insieme parlano di se stessi, degli anni che stanno vivendo, delle rivoluzioni che attraversano e sconvolgono matematica, fisica, biologia.

Il ritratto polifonico che ne risulta è vero? La domanda è impropria perché Labatut non scrive una biografia né un romanzo storico: von Neumann, grazie anche alla sua poliedricità, rappresenta il travaglio intenso e suggestivo della storia e del pensiero più ardito che segnano quegli anni e che producono ancora oggi profonde influenze e conseguenze. Quel che colpisce di più, anche sotto il profilo del racconto, è la parte incompiuta dello scienziato, il periodo che si potrebbe definire “l’ultimo von Neumann”, segnato dalla malattia e che ha confini più indefiniti, incerti, visionari.

Certo, è avvincente la descrizione del suo lavoro a Los Alamos, la collaborazione al Progetto Manhattan coordinato da Robert Oppenheimer che nel 1945 ha prodotto la prima bomba atomica. Ed è appassionante leggere della contrapposizione con Albert Einstein sul “mostro”, la bomba appunto, che ha cambiato il corso della storia. E che von Neumann difende anche sotto il profilo morale: dal punto di vista scientifico – sostiene – non sarebbe etico non fare quel che sappiamo di poter fare. Si resta sorpresi di fronte alla lucidità e al “cinismo” di von Neumann che promette alle forze armate americane di costruire un super-computer per la gestione dei calcoli necessari per la bomba all’idrogeno. Promessa mantenuta nel 1951: è il Maniac. Al quale lo scienziato assegna due compiti: distruggere la vita come la conosciamo e crearne una di un nuovo tipo.

È questa seconda parte a proiettarci nel futuro: macchine autoreplicanti, la sonda che si costruisce da sola, apprende, si migliora e raggiunge mondi sconosciuti, la fusione cyborg. Ci sono le premesse per l’Intelligenza Artificiale generale e per i timori legati a una sua autoriproduzione ed evoluzione autonoma: e se potesse superarci? Non c’è risposta certa. Il pericolo è intrinseco. La singolarità è fra noi.

Categoria: Cultura
Titolo: Scienza e letteratura
Autore: Sergio Bocconi