L’America secondo i suoi scrittori
I due titoli vincitori dello scorso Premio Pulitzer per la narrativa, Trust e Demon Copperhead, paiono raccontare al meglio la società americana contemporanea, nelle sue profonde contraddizioni e nella sua totale incapacità di dialogo.
«Esiste un mondo migliore. Ma costa di più». Una battuta, poche parole che raccontano il mondo della disuguaglianza e delle classi, della ricchezza concentrata in poche mani e della disillusione di chi non può pagare di più. È uno dei trait d’union più significativi tra i due romanzi che hanno vinto ex aequo il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2023 e che, in modo altrettanto significativo, raccontano l’America polarizzata che marcia verso le elezioni del 5 novembre: Trust di Hernan Diaz (Feltrinelli, 384 pagine) e Demon Copperhead (Neri Pozza, 654 pagine) di Barbara Kingsolver.
Il premio, assegnato ogni anno ad autori americani in grado di segnare la storia della letteratura, vede eccezionalmente due vincitori. E a ben guardare sembra proprio che i libri corrano su un unico binario: quello del racconto duro, a tratti spietato, di una terra profondamente divisa. Nonostante le narrazioni riguardino tempi differenti, hanno entrambe come soggetto principale la disuguaglianza – in termini di reddito e di istruzione, di disincanto e cinismo nei ricchissimi e di tormento disperato e umiliato nei poveri. Romanzi attenti alle differenze di classe, molto distanti per registro narrativo ma che sono a loro modo entrambi “sociali”. L’America che non voterà per scelta o abbandono, e quella che nell’Election day si recherà ai seggi e si dividerà in due tra Donald Trump e Joe Biden nella scelta del prossimo presidente degli Stati Uniti è tutta in questo migliaio di pagine.
Le radici comuni di classe dei due libri si possono rintracciare anche nel tabacco. In Trust rappresenta l’accumulazione originaria alla base della ricchezza di Andrew Bevel, uomo della finanza che vive delle «contorsioni del denaro» e si arricchisce controcorrente anche durante il Grande crollo del 1929. Mentre in Demon Copperhead, che si ispira in modo esplicito e “rivendicato” dall’autrice a David Copperfield di Charles Dickens, costituisce una delle prime dannazioni del ragazzo protagonista, Damon detto Demon appunto, che da giovanissimo lavora in una piantagione dove rischia anche di morire per avvelenamento.
Le storie percorrono comunque strade diverse, con stili e architetture lontani tra loro. Trust si sviluppa in modo discontinuo, articolato e complesso, forse a tratti anche troppo. Le vicende del finanziere si compongono in un puzzle che ha inizio con un tassello ostile: il libro Fortune, realizzato da un giornalista, che racconta la vita dell’uomo d’affari e di sua moglie, Mildred, in versione di “biografia non autorizzata”, esplicita ma camuffata con l’uso di altri nomi e riferimenti. Libro che Andrew considera «immondizia piena di calunnie» e che vuole togliere dalla circolazione. Operazione impossibile, e che quindi lo porta a cancellare diffamazione e truffa con una propria versione dei fatti: assume così (siamo nel 1938) la giovane Ida Partenza, capace dattilografa e aspirante scrittrice figlia di un tipografo anarchico, perché lo aiuti a scrivere la sua autobiografia. L’opera resta incompleta ma sarà la stessa Ida, decenni dopo (nel 1981), a risalire alla “storia vera” grazie ai diari di Mildred.
Di architettura classica è invece il romanzo di Barbara Kingsolver, volontario “adattamento” ai tempi nostri di David Copperfield. La storia segue il bambino che nasce nella Contea di Lee in Virginia (l’autrice vive in una fattoria negli Appalachi meridionali) e ne condivide povertà e abbandono: presto orfano deve lasciare la sua casa mobile e viene inghiottito dal circuito disperato degli affidi. Il suo destino, tra droghe, speranze e disillusioni, sembra segnato. Si risolleva grazie al suo talento di disegnatore, ma nemmeno questo dono sembra sufficiente a consegnargli un futuro diverso.
Bevel e Demon: attraverso di loro Diaz e Kingsolver descrivono le due Americhe opposte, mondi che non riescono nemmeno a immaginare l’altro da sé tanto sono distanti. Bevel si racconta così: «Sono un finanziere in una città governata da finanzieri. Mio padre era un finanziere in una città governata da industriali. Suo padre era un finanziere in una città governata da commercianti. Suo padre era un finanziere in una città governata da una società molto unita, indolente e moralista, come la maggior parte delle aristocrazie di provincia». La città è sempre New York e questo è forse il ritratto più completo e veritiero che dà di sé e dell’America in cui vive e prospera. Perché per il resto a Ida racconta il finanziere desideroso di apparire e che avrebbe voluto essere. Le affida l’immagine dell’uomo d’affari eclettico, «perché la finanza è il filo che attraversa ogni aspetto della vita, il nodo in cui si saldano i fili più disparati dell’esistenza umana. E il finanziere è il vero uomo rinascimentale». E anche quando specula “remando contro”, prendendo in anticipo posizioni corte (vendendo) e contribuendo al Grande crollo dell’ottobre 1929, lo fa per «purificare il mercato», perché il «profitto responsabile è tutt’uno con il bene comune». Nel 1929 come nel 2006-2008.
Demon vive invece con niente tra piantagioni e miniere chiuse, barcolla tra famiglie che lo prendono in affido solo per raccattare i sussidi dal servizio sociale. La sua infanzia si consuma tra cibo scarso, tanto lavoro e una grande tensione per sopravvivere. E anche quando, ragazzino, riesce a diventare un apprezzato giocatore di football americano, un incidente gli attraversa la strada. E lo getta nell’incubo della dipendenza dall’antidolorifico più malefico della medicina statunitense, l'Oxy (ndr: l’ossicodone) – una strage con tanti colpevoli, dalla casa farmaceutica Purdue che produce e vende l’oppioide ai medici che alimentano il traffico di ricette, caso estremo ed emblematico di un welfare distorto e che per i poveri non c’è, al quale sono stati dedicati libri e serie tv. Barbara Kingsolver vuole raccontare tutto questo. Lo sottolinea nei ringraziamenti: «Sono grata a Charles Dickens per aver scritto l’appassionata critica allo Stato che non è in grado di provvedere ai suoi cittadini più fragili e ai dannosi effetti sull’infanzia di tale situazione. Quei problemi esistono ancora». Forse anche di più. Gli homeless di New York e San Francisco non voteranno. Ma sono tutt’altro che invisibili. I super ricchi delle Big Tech e della grande finanza voteranno, convinti in ogni caso di fare, con i grandi e crescenti profitti, il bene del Paese. Il loro Paese.
Categoria: Cultura
Autore: Sergio Bocconi