Maiolino e Yalter
Le due artiste, Anna Maria Maiolino e Nil Yalter, sono state scelte per i premi alla carriera della Biennale Arte 2024.
Straordinarie e pionieristiche. Sono questi gli aggettivi scelti da Adriano Pedrosa, curatore della 60° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, per descrivere le artiste assegnatarie dei Leoni d’Oro alla carriera nell’ambito della kermesse lagunare inaugurata il 20 aprile scorso. Come evidenziato da Pedrosa, Anna Maria Maiolino e Nil Yalter «incarnano in molti modi lo spirito di Stranieri Ovunque ‒ Foreigners Everywhere»: identità, genere, corpo individuale e corpo politico sono infatti alcuni dei temi che hanno orientato la loro ricerca e che riecheggiano nella mostra veneziana.
Entrambi migranti, Maiolino e Yalter condividono una storia fatta di geografie mutevoli, sebbene a latitudini diverse. Nata a Scalea, in Calabria, nel 1942, Maiolino sperimenta le logiche migratorie sin dall’infanzia; a dodici anni approda in Venezuela insieme alla famiglia e nel 1960 raggiunge il Brasile, dove vive tuttora. A Caracas prima e a Rio de Janeiro poi, Maiolino getta le basi della sua formazione artistica, cimentandosi con la pittura, la scultura e la xilografia e mettendosi in ascolto di ciò che la circonda. Tra gli esponenti della Nuova Figurazione brasiliana, Maiolino reagisce alla ferocia della dittatura militare – che si protrasse dal 1964 al 1985 ‒ ampliando i confini del suo linguaggio artistico e lasciando emergere dalle proprie opere una narrazione nella quale si alternano storia personale e vissuto collettivo. Sondando anche la dimensione performativa e quella poetica, Maiolino combina fotografia, parola e azione nelle serie Fotopoemação, di cui Entrevidas è uno degli esempi più emblematici. L’opera restituisce la performance realizzata a Rio de Janeiro nel 1981 dall’artista e poi presentata come installazione a San Paolo durante il medesimo anno: camminando su un terreno cosparso di uova, Maiolino evoca i dubbi del popolo nei confronti delle promesse di democrazia da parte dell’allora presidente, il generale João Figueiredo. Simbolo ricorrente nell’immaginario dell’artista, che lo definisce «l’archetipo per eccellenza della vita» [1], l’uovo esprime non solo la fragilità dell’esistenza, ma anche il continuum di principio e fine che la caratterizza. Una sorta di filo srotolato attraverso il tempo, come accade in un’altra opera della serie Fotopoemação, intitolata Por um fio (1976). Un filo collega tre figure femminili (l’artista, sua madre e sua figlia) e altrettante generazioni, portando alla ribalta il tema dell’appartenenza e annullando ancora una volta le distanze fra vicenda individuale ed esperienza collettiva. Materia e gestualità assumono un peso sempre più determinante nella pratica di Maiolino, che all’inizio degli anni Novanta si affida all’argilla per dare concretezza a sculture e installazioni di una fisicità tangibile. Proprio l’argilla accompagna il debutto di Maiolino alla Biennale Arte, che quest’anno accoglie finalmente l’artista insieme a un nuovo intervento su ampia scala.
Al pari di Maiolino, Nil Yalter calca il palcoscenico della Biennale Arte per la prima volta con due lavori che chiariscono le aree tematiche sulle quali si concentra la ricerca dell’artista nata al Cairo nel 1938 e trasferitasi dapprima a Istanbul e poi, nel 1965, a Parigi, dove vive ancora oggi. Accomunate da una storia di migrazione e da un approccio autodidatta, Maiolino e Yalter condividono un vocabolario creativo trasversale. Anche Yalter si misura con la pittura, il disegno, il video, la scultura, l’installazione e scava sotto la superficie delle convenzioni sociali e politiche. A Parigi l’artista assiste ai fermenti del ’68 e prende parte alla seconda ondata femminista [2], consolidando gli snodi della sua indagine: identità, genere e migrazione. Yalter rintraccia nella propria storia i segni di un vissuto comunitario e viceversa, limitandosi a registrare fatti e volti. È quello che succede in Orient Express (1976), definito da Eda Berkmen un «diario di viaggio etno-critico» [3] composto di Polaroid, disegni e pellicola 8mm. L’itinerario seguito da Yalter fra Parigi e Istanbul si sovrappone a quello dei lavoratori migranti destinati a solcare gli stessi confini. È un racconto di confini anche quello narrato da La Roquette, Prison de Femmes, l’opera multimediale prodotta nel 1974 insieme a Judy Blum e Nicole Croiset. Dando voce a Mimi, ex detenuta del carcere francese, Yalter assembla un mosaico video-fotografico dal quale affiora una descrizione puntuale delle condizioni carcerarie. L’artista problematizza un argomento complesso ‒ riguardante non solo la prigionia, ma anche l’essere donna ‒ e lo porta al centro di un dibattito che coinvolge in pari misura l’arte e la politica. Come sottolinea Philippe Artières, Yalter «produce oggetti ibridi così estranei da essere a lungo denigrati dal mondo dell’arte e da essere considerati sospetti dalle organizzazioni politiche»[4]. In tale contesto, la parola risulta essenziale: ne è prova Topak Ev, pioneristico esempio di architettura nomade realizzato dall’artista nel 1973 ed esposto nel Padiglione Centrale dei Giardini per la Biennale Arte 2024. Ispirata alle condizioni di vita della popolazione nomade turca, la iurta è coperta, sulla sommità, da una serie di testi in turco e francese. Un fregio di parole che dona un afflato monumentale all’impermanenza della struttura [5]. Yalter ha saputo aggiornare costantemente il proprio metodo interagendo sia con altri artisti sia con l’evoluzione tecnologica e con le potenzialità del digitale. Dalle videoinstallazioni degli anni Ottanta – fra cui la celebre Exile is a hard job, che trova una nuova riconfigurazione nella Biennale di Pedrosa ‒ alle sperimentazioni interattive del decennio successivo, con opere come Pixelismus e Terra Nomade, fino ai video generati dal computer negli anni Duemila, il lavoro di Yalter dimostra il talento dell’artista nel tratteggiare i contorni dell’oggi in maniera decisa, posando sulla realtà uno sguardo consapevole.
Categoria: Arte
Titolo: Maiolino e Yalter
Autore: Arianna Testino
[1] AA. VV., Anna Maria Maiolino: order and subjectivity, Pharos publishers, Nicosia 2009, p. 83.
[2] AA. VV., Nil Yalter: Kayit dişi / Off the record, Arter, Istanbul 2016, p. 36.
[3] Ivi, p. 41.
[4] Ivi, p. 144.
[5] Ibidem.